recensione – Io questa storia ve la racconto… – MUSEION 2022
SIMULABO – Sistema Museale del Lago di Bolsena
E’ stato un vero successo il reading musicale portato in scena ieri pomeriggio dalla compagnia Teatro Studio per il Museo del brigantaggio di Cellere.
Il numeroso pubblico ospitato nella suggestiva Chiesa di Sant’Egidio a Cellere ha assistito all’intensa performance, tra musica e parole, di: Io questa storia ve la racconto…
Una potente testimonianza sulla triste vicenda dei minatori maremmani di Ribolla realizzata a partire dalle parole di Luciano Bianciardi, Carlo Cassola e Morbello Vergari, giornalisti e scrittori che con il loro impegno hanno portato alla luce le vicende legate alle condizioni di lavoro nelle miniere e ai paradossi del potere italiano del Novecento.
Puntuale e meticolosa la regia di #DanielaMarretti, in scena con #EnricaPistolesi e #LucaPierini, accompagnati dalle musiche di #MassimoPallini.
Vi aspettiamo per il quarto appuntamento che si svolgerà il 21 maggio presso il Museo Territoriale del Lago di Bolsena.
#Museion 2022, ideato dal Simulabo – Sistema museale del lago di Bolsena in collaborazione con la Cooperativa L’ApeRegina, è realizzato con il sostegno della Regione Lazio per Biblioteche, Musei e Archivi – Piano annuale 2021, L.R. 24/2019.
https://www.facebook.com/159445890790965/posts/5052574664811372/?sfnsn=scwspmo
Alcune foto dell’incontro (foto di Simona Soprano, Archivio Simulabo):
La Maremma in Diretta – un Natale di successo
MAREMMA IN DIRETTA
24 gennaio 2022 – 419° puntata
Un Natale di Successo
il Cassero di Grosseto letteralmente trasformato in un suggestivo villaggio
interviene l’attrice e regista Daniela Marretti del Teatro Studio di Grosseto
Link della puntata su youtube
https://www.youtube.com/watch?v=9wAPTP7uwsA
In nome della Madre – recensione di Claudia Musolesi
Carissime e carissimi,
ho partecipato alla vostra rappresentazione In nome della madre sabato scorso 15 dicembre a Batignano.
È stato un bel regalo di Natale.
Credo che il vostro lavoro, in questa occasione ma anche in altre, abbia raggiunto un alto livello di maturità. Colpisce l’intreccio degli stili e dei linguaggi, il movimento spazio-temporale che di volta in volta viene proposto al pubblico.
Questa vostra professionalità accompagnata ad un’autentica passione, cattura e conquista chi assiste avvolgendola/o in un clima di possibilità e di empatia, trasformando il setting della rappresentazione in un luogo di significazione profonda dove i segni ed i codici si fanno rimodellabili e permeabili.
Ho riflettuto su come questo si configuri come un’azione politica, così come dell’azione politica ne dava conto Antonio Gramsci, definendola “lavoro sociale” sempre dentro la dialettica costante tra lavoro produttivo e lavoro creativo.
Insomma, è forte lo spirito di incoraggiamento a continuare che con gioia vorrei farvi.
Conosco la fatica della produzione intellettuale, della sua trasmissione e trasferibilità: sempre appese ad un filo di vento, sempre soggette a critiche vane e a fuggenti entusiasmi e, non ultimo, al poco riconoscimento economico.
Eppure oggi, come in altri tempi precursori di sciatti ideali e teorie inneggianti al superuomo, c’è bisogno di chi ricordi attraverso un paziente e certosino lavoro che la nostra storia ha conosciuto momenti di alto valore, dove all’individualismo bieco fondato sulla logica del godimento continuo si è contrapposta una cultura del rispetto dell’altro da me e dove si è affermato – con tutta la forza che si aveva – che il desiderio di ciascuna/o non potesse esistere e nemmeno essere immaginato senza l’incontro con il desiderio dell’altra/o.
Pertanto buon lavoro e buona continuazione.
Claudia Musolesi
Al via “Di voce in voce…”: l’impegno civile sale sul palco
grossetonotizie.com
Roberto Lottini
Quattro spettacoli di profondo impegno civile, incentrati su tematiche di stretta attualità ed arricchiti da dibattiti per interagire con il pubblico e far riflettere sulle problematiche che affliggono la nostra società.
E’ il programma offerto da “Di voce in voce…”, la rassegna organizzata dal Teatro Studio, il laboratorio teatrale per adulti, ragazzi e bambini che svolge la sua attività e mette in scena i suoi spettacoli nei locali dell’Arci di Spazio 72, in via Ugo Bassi, a Grosseto.
La manifestazione si svilupperà da sabato 30 novembre a domenica 18 maggio, con quattro rappresentazioni basate sugli stereotipi di genere, sulla violenza sulle donne, sullo sfruttamento dei lavoratori e sulle morti bianche, sulla clandestinità e l’immigrazione: storie di ordinaria quotidianità, di figure femminili, di pace e di uguaglianza tra i sessi che si pongono l’obiettivo di abbracciare un pubblico il più vasto possibile.
Proprio per questo, la rassegna dedica i suoi spettacoli agli studenti delle scuole cittadine, dai bambini delle elementari agli alunni delle superiori, ma anche agli adulti e alle famiglie.
Protagonista sarà anche il pubblico stesso, che al termine delle performance potrà esprimersi e confrontarsi con gli attori, gli autori e i mediatori invitati, sui contenuti proposti.
Gli spettacoli sono curati e interpretati da attori, musicisti e ballerini professionisti locali o toscani, provenienti da diverse realtà artistiche, oltre che dal laboratorio e dalla compagnia del Teatro Studio, impegnata da oltre venti anni con i suoi allievi su diversi palcoscenici: nei teatri come per strada o nelle piazze, fino alle rappresentazioni tra le rovine delle antiche città etrusche e romane.
“Vogliamo dare spazio alla nostra voce di maremmani, di uomini e donne, di artisti, scrittori, musicisti e di persone comuni che vogliono confrontarsi su temi che riguardano la storia, la memoria, l’arte e vogliamo farlo partendo dal nostro lavoro di artisti, musicisti, attori, comunicatori, registri, animatori e celebrare così la Festa della Toscana, i suoi valori pacifisti, di uguaglianza e impegno che sempre più devono essere condivisi e promossi” dichiara Daniela Marretti, presidente dell’associazione culturale “Teatro Studio” e attrice dell’omonima compagnia teatrale.
E proprio la Festa della Toscana, in programma sabato prossimo, farà da cornice allo spettacolo inaugurale, intitolato “Che differenza fa?”, una rappresentazione sugli stereotipi di genere dedicata in particolar modo ai bambini, alcuni dei quali saranno protagonisti sul palco.
Tutti gli spettacoli sono ad ingresso gratuito, anche se è necessaria la prenotazione, dato che la sala dove si svolgerà la manifestazione, lo Spazio 72 di via Ugo Bassi, può accogliere un massimo di 60 persone.
Per prenotarsi, è sufficiente contattare i numeri 392.0686787, 349.7351977 o 349.2238342 oppure scrivere un’e-mail all’indirizzo teatrostudio@gmail.com.
“Di voce in voce..” è una manifestazione accolta e cofinanziata dalla Regione Toscana all’interno del bando di compartecipazione denominato “Una comunità: le mille voci della Toscana”, che punta a contribuire all’organizzazione di iniziative in occasione della Festa della Toscana 2013.
Oltre a questa rassegna, l’impegno del Teatro Studio si estende al teatro per bambini portato nelle scuole, sia come spettacolo di animazione che come laboratorio, e nella formazione di attori di tutte le età, oltre che all’impegno civile al fianco delle amministrazioni locali e al vasto mondo delle associazioni.
Ecco, nel dettaglio, il programma degli spettacoli della manifestazione:
- Sabato 30 novembre – ore 16: inaugurazione e presentazione del progetto e della rassegna “Di voce in voce…”
Messa in scena dello spettacolo teatrale “Che differenza fa?”, dedicato ad un pubblico di bambini e genitori e in cui saliranno sul palco anche giovanissimo attori. Il dibattito sarà introdotto e mediato da Giuliana Gentili del Centro Donna di Grosseto.
Trama: gli stereotipi di genere, la pace, la guerra, convergenze e divergenze: un’occasione per analizzare le modalità di comportamento che ancora rendono parzialmente separati i generi femminile e maschile, rallentando il progresso della società e insidiando il quotidiano e dare voce ai genitori per un confronto che schiuda un modo nuovo di educare i propri figli e le proprie figlie.
- Domenica 23 febbraio – ore 18.30: “Abissi clandestini”, spettacolo teatrale di danza e musica di e con l’attrice Irene Paoletti, la danzatrice Elisa Bartoli e il musicista-cantautore Emanuele Bocci.
Trama: tema dell’incontro, la denuncia e il dramma dei clandestini, del loro affacciarsi alle nostre vite, del nostro senso di impotenza, per dare voce al disagio e ai disagi che viviamo in Maremma come nel resto dell’Italia e del mondo, di fronte al tema dell’immigrazione
- Venerdì 28 marzo – ore 11: “Donne”, monologhi e letture per le scuole superiori, con le attrici Daniela Marretti ed Enrica Pistolesi; testi di Luciana Bellini, Adriano Petta, Ascanio Celestini, Roddy Doyle. Dopo lo spettacolo è in programma un dibattito introdotto e mediato da Gabriella Lepri dell’associazione Olympia de Gouges di Grosseto.
Trama: un viaggio attraverso voci femminili, dall’antichità ad oggi: donne nella cultura contadina, donne nel lavoro, ieri come oggi, mentalità che scompaiono ed altre che tenacemente restano, producendo profondi conflitti nel presente. Un incontro per dare voce alle donne e agli uomini che vogliono denunciare la violenza di un “oggi, malato di passato”, per costruire insieme un futuro totalmente affrancato da mentalità e comportamenti aberrati e aberranti.
- Domenica 18 maggio – ore 18.30: “Io questa storia ve la racconto”, lettura scenica e monologhi con musica dal vivo con Luca Pierini, Enrica Pistolesi, Massimo Pallini; testi di Luciano Bianciardi, Morbello Vergari e testimonianze dalla cronaca.
Trama: un lavoro ispirato alla tragedia della miniera di Ribolla, per dare voce ad un grande autore e alla sua profonda coscienza civile, Luciano Bianciardi, e ad un poeta contadino, Morbello Vergari, e alla sua saggezza popolare, forte di poesia, incanto e coscienza politica. Autori che sanno ancora dare voce a tematiche forti come quelle degli incidenti e dello sfruttamento sul lavoro mai veramente superati e oggi tornati angosciosamente alla ribalta.
(38)
A Grosseto è la stagione del teatro
al via la Stagione Teatrale con “La cantatrice calva”.
Il Teatro Studio in scena invece per “Racconti raccontati”.
di David Franchi
(dal sito della rivista on-line MaremmaNews – www.maremmanews.it)
Grosseto: Quasi incredibile l’apertura di due stagioni teatrali lo stesso giorno a Grosseto, ieri 18 novembre.
In ordine di tempo, la prima è “Racconti raccontati” del Teatro Studio, spettacolo pomeridiano della domenica, come s’usa nelle grandi città. Segue poi la sera, “La cantatrice calva” al Teatro degli Industri che apre ufficialmente la stagione teatrale di Grosseto, dopo che era saltata la prima di lunedì scorso con la Morante a causa del maltempo.
Straordinario che a Grosseto, città culturalmente sedata, ci siano ben due stagioni di teatro e sorprendente la coincidenza che aprano lo stesso giorno.
Lo spettacolo proposto dal Teatro Studio è una produzione in proprio. “Racconti raccontati” viaggia sulla linea del ricordo, per i testi di Luciana Bellini e la regia Mario Fraschetti. Ambientato nella campagna maremmana dei poderi della riforma agraria fra mezzadri e postini, fantasmi e fattori, lo spettacolo mette insieme racconti della Maremma più verace, quella che forse oggi non c’è nemmeno più.
La simpatica Argia (al secolo Luciana Tosti), figura storica della “commedia dell’arte maremmana”, fa da filo conduttore allo spettacolo. Daniela Marretti e Luca Pierini riempiono il palco con la loro fisicità prorompente, le musiche curate da Francesco Melani (che recita anche una storia) sono emozionanti, ma soprattutto c’è Enrica Pistolesi che si candida a raccogliere l’eredità di Argia. Pienone di pubblico nel piccolo Spazio72, ormai troppo stretto per contenere gli appassionati.
Per coloro che avessero voluto saziare la loro fame di teatro, in serata ha aperto anche la stagione del Comune di Grosseto. Discretamente partecipato lo spettacolo “La cantatrice calva”, il classico e opera prima di Ionesco. Una riedizione interessante al Teatro degli Industri, per la regia di regia di Massimo Castri, con la collaborazione di Marco Plini. Castri è regista cresciuto con l’avanguardia teatrale degli anni ’70 e ha vinto il Premio Ubu 2010. Tuttavia, questa messa in scena è molto tradizionale, seppur nel contesto del teatro dell’assurdo. In una scenografia meravigliosa in stile Art Nouveau, lo spettacolo è la storia, ormai nota, delle famiglie Smith e Martin che si incontrano a casa dei primi per un pomeriggio assieme. Aiutati dal Capitano dei Pompieri e da una cameriera, Smith e Martin giocano con le frasi fatte e i luoghi comuni della borghesia del tempo, quasi impazzendo in un crescendo di assurdità che esplode in un finale cacofonico. Quando debuttò nel 1950 a Parigi, al Théatre des Noctambules, La Cantatrice chauve, fece scandalo, che oggi è affievolito e quasi superato dalla realtà che purtroppo ci propinano televisione, cinema e giornali.
Ciò nonostante l’operazione risulta essere piacevole. Il pubblico ha applaudito anche a scena aperta per l’abilità degli attori nell’interpretare questo testo molto difficile e complesso, qui in una nuova traduzione di Gian Renzo Morteo. Sicuramente, ci vogliono attori con ottime capacità per interpretare i non-sense di Ionesco e i suoi intrighi verbali. E infatti, gli interpreti Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio e Francesco Borchi, sono straordinari e molto bravi, non perdono una battuta, dando il giusto ritmo alla spettacolo, che riceve molti applausi.
Si rimane comunque stupiti del fatto che si possano fare due stagioni teatrali nello stesso giorno, che oltretutto riempiono le rispettive sale di un pubblico pagante, segno di una vitalità che ben stimolata potrebbe produrre molto di più.
Si aspetta quindi il prosieguo di queste stagioni e il supporto di chi di dovere, anche se si sa che “la cantatrice calva, si pettina sempre allo stesso modo”.
ARISTOFANE A COSA di Marco Piazzoli
ARISTOFANE A COSA
di Marco Piazzoli
Una serata davvero speciale quella di Venerdì 24 agosto a Cosa.
E stato un fantastico “happening” che, grazie alla collaborazione con il Consorzio Maremmare ed il Comune di Orbetello, ha visto uno splendido impiego del nostro grande e ricco patrimonio storico.
Le rovine romane, sopra ad Ansedonia hanno magicamente preso vita e i personaggi di un tempo hanno iniziato a muoversi e a recitare tra gli antichi templi immersi negli ulivi, della macchia Mediterranea .
Sotto tutt’intorno, il mare blu di Ansedonia.
Nella luce dorata del tramonto gli attori della compagnia del Teatro Studio di Grosseto hanno vestito i panni degli attori greci per raccontare “La pace” di Aristofane.
Geniale l’ambientazione della “piece” tra le rovine della città di Cosa ed ancora più geniale la scelta di tre “location” all’interno del complesso monumentale per dipanare il racconto.
Ma ciò che ha reso magico ed unico il racconto è stata la scelta dei luoghi e dell’azione in funzione di un cronometrico studio della luce.
Così nella giornata assolata di ieri il tramonto ha acceso sugli attori mille riflettori di luce calda e dorata accompagnando il racconto nelle diverse scene. Perchè con grande originalità, il cambio di scena è stato fatto dagli… attori che invitavano gli spettatori a seguirli nella scena successiva. Battute ironiche e battute seriose di duemila anni mai passati hanno fatto riflettere sul tema della pace e della guerra.
Hanno prestato magnificamente voce e volto ad Aristofane Daniela Marretti. Luca Pierini, Enrica Pistolesi, Miro Tozzini per la regia di Mario Fraschetti.
Foto di Marco Piazzoli
TEATRO IN ASCOLTO
Teatro in ascolto
di Francesca Mengoni
(dal n. 35 di “Lato Selvatico” editato da Giuseppe Moretti – equinozio di autunno 2009)
La prima volta che vidi uno spettacolo del Teatro Studio di Grosseto fu circa dieci anni fa, presso l’Anfiteatro di Roselle con “Le baccanti” di Euripide. Ero abituata agli allestimenti serali presso il Teatro Romano di Gubbio, con il palco, le luci, gli attori sul palco e noi spettatori sulle gradinate, ero abituata ad attori come Dario Fo che amano recitare circondati dal pubblico, ma l’interazione con il luogo in cui mi stava trascinando il Teatro Studio era qualcosa di inedito per me. Le Baccanti incalzavano con le loro tammorre in ritmi ossessivi cercando di aprire varchi in altri stati di coscienza. Spregiudicate paladine, ingannate dagli effluvi del vino, danzavano in febbri di tarantola emanando una forza scura ardente di vita. I loro canti si espandevano tumultuosi nel luogo privo di palco e privo di luci, c’era soltanto il sole asciutto al tramonto con i suoi estesi riflessi. I pochi oggetti essenziali all’allestimento si stagliavano insieme alle vecchie pietre, le ombre erano quelle del sopraggiungere della sera. Un angolo, una roccia, un albero vivevano la loro storia insieme alla storia, proprio come accade nelle favole o, più semplicemente, nella quotidiana magia della vita.
Insomma, fu una bellissima esperienza.
Recentemente ho accettato di sostenere attivamente le loro iniziative e mi sono chiesta in che modo questa esperienza avesse a che vedere con il mio “percorso bioregionalista”. Quando lessi la presentazione della loro rassegna “Il Fascino delle Rovine”, che si rinnova ormai da quindici anni, ne compresi il nesso, queste le parole di Mario Fraschetti direttore artistico del Teatro Studio: “Le rappresentazioni assorbono il fascino dello spazio in cui si svolgono e lo restituiscono amplificato allo spettatore, dando suono alle tracce lasciate dai carri, in una sospensione temporale dove passato e futuro si esprimono nell’unica vera categoria: un infinito presente. Ma i «santuari» archeologici e naturali – aggiunge Fraschetti – devono essere usati con grande sensibilità e rispetto e per questo non tutte le performance artistiche possono essere ospitate: solo interventi direttamente ispirati da questi luoghi possono dare un senso di continuità e di vita alle pietre.”
La pratica bioregionalista, basata sull’autosufficienza, che riporta la propria economia nell’equilibrio del proprio luogo, che rende espliciti e consapevoli i passaggi per cui ci procuriamo cibo, energia, calore, trasporti e vestiti e ci libera dalle responsabilità dello sfruttamento insensato di metalli, piante, animali e persone in posti e attraverso modi a noi sconosciuti, ha bisogno di varie fonti di ispirazione.
Il 10 luglio 2009, l’amministrazione comunale di Roccastrada (GR), ha promosso la realizzazione dello spettacolo “Frammenti” del Teatro Studio presso i ruderi di Sassoforte in loc. Sassofortino, ho dunque intrapreso il viaggio per assistere allo spettacolo. Dopo una tortuosa strada asfaltata, ho chiesto informazioni ad alcuni abitanti che mi hanno risposto in modo scoraggiante, sicuramente non informati dell’evento imminente: “Sassoforte!? e dove vuole arrivare? Ma è lontano! Stia attenta a non perdersi.” Lasciato l’asfalto ho percorso in auto un altro tratto di sterrato a ridosso di un’aspra collina, per fortuna non mi sono persa, ho invece trovato un gruppo di persone impegnate nella mia stessa ricerca. Parcheggiata l’auto ho proseguito a piedi – qualcuno ha approfittato di un passaggio in jeep – per una ripida stradina che si apriva in un bosco fitto, ombroso di castagni maestosi, pietre e felci. Impossibile non soffermarsi ad ammirarne la bellezza, ascoltarne i fruscii.
Giunta al termine della via percorribile in jeep, si addensava un folto gruppo di persone che lentamente andava ad aumentare. Rimaneva uno stretto sentiero e quando abbiamo udito i canti e le musiche ci siamo incamminati insieme. Non potevo credere che fosse presente, in un luogo tanto isolato e disperso, un tale numero di persone e tanto eterogeneo in età e provenienza sociale. Ci siamo seduti su pietre coperte di muschio per assistere al primo quadro “Gente in cammino” che attinge a Erodoto ed alla iconografia etrusca. “LA TERRA PRIMA DI TUTTO” ha esordito lo spettacolo e da lì è iniziato un viaggio nello spazio e nel tempo. Massi enormi ci osservavano con severità. Noi abbiamo camminato sentendo lo scricchiolare dei rami secchi sotto i nostri piedi, incontrando i resti dell’antico castello, gli alberi e le voci della foresta e della storia. Un paesaggio incantato dalle infinite pieghe dimensionali, un respiro denso di sacralità ci hanno condotto fino alla conclusione: “Il monte è incolto. Queste alture sono tutte così: basta un nonnulla e la campagna diventa la stessa di quando queste cose accadevano. Basta un colle, una vetta, una costa, e l’incredibile spicco delle cose nell’aria tocca il cuore. Questi luoghi hanno nomi per sempre. Non rimane che l’erba sotto al cielo. Eppure, l’alito del vento dà al ricordo più fragore di una bufera dentro al bosco. Non c’è vuoto né attesa. Quel che è stato è per sempre.”
Non mi soffermo sulla bravura di singoli attori ed attrici che ci hanno condotto nel viaggio con temerarietà e tenerezza, loro si sono espressi in un insieme corale esaltando le doti di ognuno, interagendo insieme agli altri protagonisti: le pietre, le piante, le ombre, i lampi di cielo, il danzare del vento, la luce che filtrava tra le fronde.
Al ritorno, le lucciole.
CASSANDRA di Serenella Bischi
CASSANDRA
di Serenella Bischi
“Temevo il peggio, non perché intuivo il piano dei greci mossa dopo mossa, ma perché vedevo l’incontrollata baldanza dei troiani” (C. WOLF, Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1990, pp. 168-69). Le parole che Christa Wolf fa pronunciare alla sua Cassandra potrebbero benissimo, a nostro avviso, fungere da sintesi del messaggio che emerge dalla Cassandra del Teatro Studio.
Un allestimento, come sempre, straordinariamente capace di cogliere gli aspetti essenziali, perennemente attuali del mito, ancora una volta riportato in vita tra i resti del nostro passato, a riempire i vuoti lasciati dalla caduta delle pietre, dal tempo e dall’oblio, per ricostruire, come in una progressiva elaborazione virtuale, l’intero del nostro patrimonio di memoria storica e di funzioni archetipe. La prospettiva da cui si sceglie di ricostruire questa interezza perduta è sempre estremamente convincente nei lavori del Teatro Studio: parla del nostro presente e della nostra storia direttamente alla nostra concretezza di spettatori, chiamati in causa ciascuno individualmente, resi partecipi di un rito ricostruttivo e celebrativo qual è, nei suoi momenti più alti, il teatro. Ne è testimone la religiosa attenzione del pubblico, la sua presenza totale, oseremmo dire in corpore et anima, mente e cuore, che sempre accompagna le rappresentazioni della compagnia di Mario Fraschetti. La distanza tra il pubblico e la scena è come annullata sin dall’inizio: turisti si aggirano tra le rovine del sito archeologico, si confondono tra il pubblico e lo immettono, man mano, direttamente nella dimensione del narrato. Così, è rappresentata (spesso con un’ironia capace di suscitare quel riso liberatorio che è riconoscimento di sé) ed entra a far parte del gioco anche la nostra identità e presenza di turisti spettatori, tanto che ti ritrovi in maniera del tutto naturale trasportato nello spazio e nel tempo, ad assistere da compartecipe e coevo ai tragici fatti narrati.
Attualità e mito, quindi, si sovrappongono ancora, vengono a coincidere nei punti in cui la realtà tocca la propria essenza, e ognuna delle due dimensioni, quella mitologica e quella del presente storico, è letta alla luce dell’altra, ne è come attraversata e perforata in un crescendo di momenti epifanici che ci conduce in maniera naturale ad una ristabilita dimensione di onnipresenza e totalità. E, ancora una volta, così come accadeva nelle Baccanti, sono i personaggi femminili il tramite di questa apertura della coscienza che squarcia il velo verso il passaggio all’oltre, a quella “trascendenza” troppo spesso fraintesa come alterità e distanza, non essendo, al contrario, che suscettibilità di valore altro rispetto a quello che il limite della coscienza ordinaria attribuisce alle cose. E’ grazie a questa prospettiva di annientamento delle distanze e del tempo che è possibile “leggere il futuro”: la preveggenza di Cassandra non è che denuncia di realtà già in atto ( “Siatemi testimoni che sulla stessa traccia intuisco il futuro e mali accaduti in tempi remoti”). Denuncia non a caso inascoltata da chi è ancora schiavo di una lettura dicotomica del reale, quella lettura che – per richiamare ancora la Cassandra di Christa Wolf – impedisce di vedere che occorre “combattere il male prima, quando ancora non si chiama guerra” e che “tra uccidere e morire, c’è una terza via, vivere” (C. WOLF, op. cit., p. 131 e p. 147). Una lettura che rimanda costantemente e irresponsabilmente ad altri (agli Dei così come al fato) le cause dei propri mali (“ ognuno dentro sé ha una Cassandra – dice la turista al suo compagno – l’intuito che ti mette in guardia…poi la ragione molte volte ci impedisce di seguirne le indicazioni”).
La donna (o, se vogliamo, quell’aspetto recettivo e intuitivo storicamente appannaggio del femminile), dicevamo, come potente canale di comunicazione, in ultima analisi, con la nostra stessa natura, che è la natura di tutte le cose. Quella natura assieme a lei costantemente ridotta in negativo, demonizzata ed esorcizzata da secoli di una cultura che, come Fraschetti fa dire ancora alla sua Alessandra-Cassandra, perde il senso del tutto nella quasi esclusiva attenzione alle parti, in definitiva, nel suo rifiuto di ascolto delle cose: “ Voi uomini guardate solo l’aspetto parziale delle cose, la parte illuminata, mentre quella in ombra vi è invisibile”.
Non a caso il viaggio “a ritroso” o in profondo, nell’ombra di quelle parti oscure da cui pare costantemente voler fuggire la coscienza ordinaria, inizia con uno “straniamento”, con quel punto “di grazia” in cui la totalità ci invade azzerando ogni ordinaria percezione di sé e del mondo, facendoci guardare alla realtà con occhi nuovi (assieme alla visitatrice Alessandra-Cassandra, non sappiamo più dove realmente siamo, che luogo sia questo e come ci siamo arrivati). E il viaggio, l’inizio stesso del racconto, sembra poter partire solo da questa sorta di azzeramento delle proprie convinzioni, di ciò che fin qui siamo stati e crediamo di essere. E’ solo in questo vuoto di sé che possono trovare spazio la visione e la profezia.
Così, il sovrapporsi del piano della narrazione mitica a quello del racconto scenico che gli fa da iniziale pretesto (i turisti in visita al sito archeologico) avviene attraverso un’”identificazione-sdoppiamento” della figura femminile guida. Sdoppiamento che progressivamente, nel corso della rappresentazione, diverrà un crescendo di vera e propria corale “moltiplicazione scenica” di Cassandre. Tutte a ricordarci che, per chiunque voglia davvero leggerli, passato, presente e futuro sono un libro aperto.
Ci piace questo “teatro povero” ricchissimo di senso, di inventiva e di fisicità, di suoni evocativi (bellissima la vocalità), di gesti plastici ma strettamente funzionali, dove spazio e narrazione si legano indissolubilmente, sembrano organicamente germinare l’una dall’altro, e dove ogni oggetto scenico (fino al più scarnamente emblematico, come gli stracci sottili dipinti con chiazze di rosso e furiosamente sparpagliati al vento: inequivocabilmente il massacro dei figli di Tieste da parte del fratello Atreo) non ha bisogno di essere spiegato, è evidente e apparentemente insostituibile nella sua funzionalità.
ELENA
ELENA
Elena simbolo di una bellezza pura, simile alle dee immortali, inafferrabile, oscura, difficile fragile e temibile, desiderata da ogni uomo. Provoca passione, lussuria, turbamento, gelosia, violenza. Doctor Faust chiede al demonio di poter possedere proprio la bella Elena. Fra i tipi femminili giuntici dall’antichità Elena è forse la figura più complessa. Essa ha in sé maschere contrastanti, e gli scrittori che ne hanno tramandato l’immagine inseguono ognuno una di queste maschere.
Il lavoro del Teatro Studio percorre differenti autori, gli arcaici Omero ed Euripide, i moderni Hofmannsthal, Ritsos.
La figura nasce nel mito e diviene umana. La sintesi, la risposta alla domanda “Elena chi è?” è lasciata allo spettatore.
testi elaborati e scritti, regia Mario Fraschetti
regia dei movimenti dei “ricordi” Laura Bambi
interpreti: Daniela Marretti, Luca Pierini, Lia Montanelli, Enrica Pistolesi, Silvia Schiavoni, Mirio Tozzini
Cassandra a Vetulonia
Le profezie di Cassandra riecheggiano fra le vestigia dell’antica Vetulonia.
Torna, sabato 28 luglio, l’appuntamento estivo con il nuovo spettacolo del
Teatro Studio.
Saranno gli affascinanti resti etrusco-romani dell’antica Vetulonia a fare da scenario a “Cassandra”, il nuovo spettacolo che il Teatro Studio presenterà in prima assoluta sabato 28 luglio alle ore 19.
Ancora un ritorno alla mitologia greca, ancora una protagonista femminile. Dopo Medea, ad incantare il gruppo teatrale grossetano, guidato da Mario Fraschetti, è questa volta Cassandra, l’ enigmatica e misteriosa figlia del re di Troia, perseguitata da un crudele destino. Apollo, conquistato dalla sua bellezza, le dona infatti la capacità di prevedere il futuro, ma Cassandra respinge il suo amore e il dio, condannandola a non essere mai più creduta, si vendica di lei trasformando il dono della profezia in una fonte di eterna frustrazione.
La rappresentazione inizia in ambientazione attuale, i personaggi vengono risucchiati in un tempo remoto, in una dimensione in cui realtà e immaginazione si confondono, in cui passato e presente si mescolano. Giunta al termine della sua vita, Cassandra ha visioni caleidoscopiche dei principali eventi del suo passato.“I tuoi occhi vedono quello che credi di sapere, e per questo le cose sono ingannevoli, ma il loro spirito no, non inganna…”
La drammaturgia, messa in scena dal regista Mario Fraschetti e da Daniela Marretti (che ha collaborato alla rielaborazione dei testi), si lega all’Agamennone di Eschilo e ad altre fonti antiche (Euripide Ecuba, Licofrone Alessandra ed altri), con richiami all’opera di C. Wolf e si muove per episodi, flash, impressioni, momenti, situazioni che vogliono evocare domande e confermare analogie con il presente.
In una totale libertà di interpretazione del mito, il lavoro del Teatro Studio mette in luce i grandi errori dell’umanità - quello della guerra in primo luogo - e coglie la capacità di cercare, di vedere, di gridare la verità e al tempo stesso l’impossibilità di incidere sugli eventi: così come la città di Cassandra, l’umano genere “sostituisce al vedere il vero, il vedere la finzione”.
Elaborazione del testo e regia: Mario Fraschetti
Interpreti: Daniela Marretti, Luca Pierini, Enrica Pistolesi, Mirio Tozzini, Lia Montanelli, Silvia Schiavoni