Scuole

- QUALE TEATRO A SCUOLA - a cura di Mario Fraschetti

· I compiti e il ruolo dell’”animatore” o dell’esperto
· Creatività e spontaneismo
· Osservazioni sul campo
· Pari valenza dell'intuizione rispetto alla nozione
· Senza la preoccupazione di un giudizio
· Dalla parte degli spettatori
· Breve compendio su posizioni teoriche ed esperienze legate al teatro nella scuola media inferiore e superiore

Quale è la ragione di fare teatro fra i banchi di scuola e in generale in situazioni formative ed educative per i giovani e i giovanissimi? Il teatro appartiene al mondo della fantasia, sgorga dalla esigenza innata di esprimersi e comunicare, nasce dal gioco, per il gioco, nel gioco, solo questo basterebbe forse a giustificarne l’utilizzo nelle scuole e al tempo stesso dimostrare quali sono le potenzialità formative ed educative del teatro. Innanzitutto il teatro deve essere visto come mezzo per dare una dimensione concreta al mondo fantastico e quindi vissuto come strumento di creazione ed espansione dell’immaginazione e degli orizzonti mentali del bambino, ma sarebbe più giusto dire dell’individuo e, in definitiva come quello strumento grazie al quale ognuno può prendere atto della propria capacità di immaginare, vedere, volere, realizzare, come sul palcoscenico, così nella vita. Ma non è solo questo a farne un grande strumento educativo di crescita, conoscenza di sé e socializzazione. Non parliamo qui certo della recita prefabbricata di Natale o di fine d'anno - cui anche la scuola del passato faceva ricorso - o al teatro che si rifà ai modelli del teatro degli adulti cercando per quanto possibile di adeguarvisi. Pur riconoscendo a queste attività un innegabile valore educativo non possiamo certo considerarle le più adatte ad un contesto scolastico. La presenza di un testo predeterminato rende logicamente più agevole un percorso drammaturgico, ma è evidente che più spazio sarà lasciato alla creatività ed all'intuito del bambino tanto più otterremo un risultato vivo e legato alla sua realtà. Messo in chiaro questo punto, possiamo comunque sottolineare certi punti essenziali del “fare teatro” così come normalmente lo intendiamo. Il teatro mette costantemente in discussione "l'attore", ponendolo al centro dell'attenzione, costringendolo a cambiare, costruire e poi dimenticare personaggi e conferendogli ruoli diversi se non addirittura opposti a quelli assunti nella vita di ogni giorno. Questo chiarisce come mai “fare teatro”, tende ad indebolire eventuali rigidità psicofisiche, allargare orizzonti, rendere elastiche le menti e di conseguenza trasformi certe tendenze, quali l’eccesso di giudizio verso se stessi e gli altri, atteggiamenti di insicurezza e chiusura, e via dicendo. Fra l’altro non dimentichiamo che “fare teatro”(jouer, spielen, play) significa di fatto “giocare” e che attraverso il gioco dal bambino possiamo ottenere il massimo della spontaneità, della serietà e dell’impegno oltre che della catarsi. Esiste fra l’altro un ulteriore aspetto che rende il teatro “strumento utile e naturale”: l’”esibizione” il bambino è egocentrico e il teatro può appagarlo, ma al tempo stesso spingerlo al superamento, perché il “proprio momento”, non dura per sempre e viene il turno di un altro e si lavora per l’altro anche in secondo piano o nell’ombra, perché c’è un lavoro che è di tutti e deve riuscire - come nel gioco, nella drammatizzazione, l’insorgere delle regole che ne permettono l'uso come manifestazione corale ne fanno infatti un momento essenziale del processo di socializzazione. Anche l’adolescente, pur ponendo molte più resistenze continua ad essere fondamentalmente attratto da questi due elementi, il gioco e l’esibizione; il primo non è ancora dimenticato, il secondo, presente in altre forme, consente di mostrarsi per quello che si vorrebbe essere o superare resistenze, qualora la tendenza sia quella opposta, ossia chiudersi. Infine ricordiamo che vivere tanti personaggi può significare dare voce alle nostre molteplici maschere interne e questo permette sovente di appianare contraddizioni esistenti, assolvendo ad una funzione di riconoscimento e di riequilibro della nostra complessa personalità. L’animazione teatrale, deve però innanzitutto essere pensata come ad un progetto di attività articolato in tutto il periodo di formazione; ad una pratica che permette di sviluppare creatività, senso critico, socialità, che permette di ampliare e modificare il proprio orizzonte; ad una attività che prima ancora che dalla rappresentazione passi da un'esperienza verbale, corporea, gestuale e creativa, dove ogni sperimentazione espressiva e comunicativa sia possibile. E’ questo che intendiamo con “animazione teatrale” o “attività teatrale” nelle scuole. Attività teatrale quindi, come laboratorio, come momento di sperimentazione di tecniche e strumenti, che vanno dal corpo alla voce, al disegno, al rady made, in cui lo spettatore esterno non esiste come non esiste la necessità di un risultato immediato. Questo non deve significare l'esclusione a priori di uno spettacolo aperto, di una dimostrazione finale di lavoro, sia per offrire al bambino una occasione ulteriore di esperienza attraverso l'impatto con un pubblico, sia per non cadere nella concezione di gruppo chiuso al mondo esterno, sia per stimolare il gruppo un momento di riflessione sul lavoro prodotto durante l’attività, purché l’eventuale produzione finale sgorghi in modo naturale e assuma il taglio e le caratteristiche che più si addicono ad un determinato gruppo: il teatro forum, il teatro gestuale, il teatro tradizionale, una mostra di installazioni, una mostra di disegni ed altro ancora. Questo “teatro”, disciplina in grado di stimolare l'individuo a 360 gradi, che include al suo interno arti visuali, musica, conoscenza della lingua, manualità e molte altre discipline o possibilità espressive e creative, può essere un supporto alla didattica o metterla in discussione, e forse proprio per questo la drammatizzazione, anche se praticata e teorizzata, non ha ancora trovato una sua collocazione "onorevole" all'interno della scuola. Perché farne ancora una questione di merito? Il teatro è un mezzo “infinito” e soprattutto trasversale se lo si coglie nei suoi molteplici aspetti e se si comprende in quali e quanti modi si possa applicare e vivere: il teatro, può diventare un modo "economico" e naturale, visto il suo comprovato carattere terapeutico e catartico, per risolvere conflitti, un metodo di sviluppo delle capacità immaginative, simboliche, comunicative e di apprendimento, un’occasione per superare schemi comportamentali, divenire estroversi, acquisire sicurezza e fiducia nelle proprie capacità, comprendere il valore della diversità in risposta a modelli che tendono tutti all’omologazione. Può questo cozzare con qualche altra disciplina? Possono altre discipline offrire questo all’individuo? Ma andiamo avanti con la nostra trattazione e riprendiamo il discorso su quale sia o quali siano i modi di sperimentare il teatro. Tutto quanto abbiamo appena detto, non si ottiene solo mettendo in scena un testo, ma anche e soprattutto, lavorando sulla base del training attoriale e sull’espressività in generale: ripetiamo, lo spettacolo è anch’esso da considerarsi come mezzo e non come il fine di un’attività teatrale-espressiva all’interno delle istituzioni scolastiche. Fare teatro significa allora, prima di tutto sperimentare alcune tecniche, attinte in parte dall’allenamento dell’attore, fra l’altro tutte impostate o impostabili in termini di “gioco”, al fine di sciogliere blocchi fisici e psicologici e superare la gabbia delle maschere comportamentali, acquisendo nuovi linguaggi espressivi, nuovi modi, nuove possibilità e scoprire quanto in realtà ognuno di noi sia creativo e soprattutto per emergere per quello che siamo e con quello che abbiamo. Se lasciamo per un momento da parte la rappresentazione e pensiamo a quanti modi, generi e di conseguenza a quanti esercizi possiamo attingere se ci rivolgiamo a quella che è la preparazione dell’attore ci si schiude un mondo: il mimo, un universo fatto di gesti che portano al controllo del corpo e al fiorire senza limiti dell’immaginazione e della “possibilità” di creare; il teatro corporeo che fa dei nostri movimenti e delle nostre immobilità, anche le più quotidiane o sgraziate immagini teatrali; l’improvvisazione da cui nasce la confidenza col “vuoto” e l’”indefinito” che porta alla capacità di risolvere, accogliere, prendere e cambiare, sbagliare e reinventare. Ci troviamo di fronte uno spazio tanto ricco e variegato da rendere lo spettacolo come il più riduttivo degli strumenti.

· I compiti e il ruolo dell’”animatore” o dell’esperto

L'animazione drammatica, pur essendo gioco, richiede anche disciplina, attenzione, collaborazione, responsabilizzazione. L'animatore dovrà proporre le attività nel modo più accattivante, ricordando costantemente il contesto in cui sta operando e le finalità che l’attività si pone, per evitare il "gioco forzato" ed indirizzarsi invece verso il "lavoro gioco". L’obbiettivo non può limitarsi certo a dare al bambino i principi di un estetica teatrale nei confronti di un prodotto già codificato, ma deve far vivere dall'interno l'atto creativo. L’animatore teatrale deve quindi rendere possibile questo "viaggio" facendo superare i blocchi psicologici, colmando le lacune esperienziali, facendo prendere coscienza delle possibilità espressive del corpo e della voce, stimolando ed ordinando le capacità globali dell'individuo ad esprimersi e in questo senso attingerà a molte tecniche, non solo quelle strettamente teatrali..
L'animatore, non solo teatrale, deve instaurare un processo dialettico strettamente legato alle persone, allo spazio ed al tempo e rifiutare di caricarsi di modelli provenienti da altre realtà, mai pensare a modelli esemplari; occorre sempre superarsi. Occorre seguire un percorso che mira prima alla presa di coscienza del proprio corpo e dell'ambiente e quindi del rapporto con gli altri. Il lavoro deve partire dal presupposto che all’interno di ogni individuo, più o meno sedimentate esistono forti capacità espressive. Per alcune arti è necessario farle emergere mediante "sovrapposizione di nozioni tecniche” (suono il violino dopo aver appreso a produrre suono con quello strumento), ma ciò non vale, fortunatamente, per l’espressività del corpo e della voce, perché appartengono alla comunicazione umana. Quindi, ancor prima di fornire informazioni, cominciamo a renderci conto del materiale esistente ed affiorante e soprattutto facciamo in modo che se ne rendano conto i ragazzi. Ognuno di noi comunica, anche in modo involontario, attraverso il proprio corpo e la propria voce, amplificatori differenti della mente, che a sua volta è da essi condizionata. Sia per il corpo che per la voce, procediamo di norma verso una restrizione delle gamme espressive, che se riprodotte in un grafico porterebbero ad una linea appena ondulata con episodiche impennate. Il lavoro che possiamo fare prima di tutto, è quindi quello di riappropriarci di queste possibilità Il primo passo è dare fiducia nei mezzi espressivi e all'interno della dimensione collettiva, valorizzare la dimensione individuale. Tanto più la dinamica del gruppo è positiva tanto più il singolo individuo sarà facilitato e potrà compensare situazioni repressive ed uniformanti che possono essere vissute all'interno della famiglia, della scuola o dello stesso gruppo sociale. Bisogna che il bambino o l’adolescente, progressivamente, prendano coscienza della possibilità di produrre cultura e non solamente di plasmarsi all'interno di contenitori culturali. Le tecniche di drammatizzazione forniscono all'individuo strumenti di crescita personale, tanto più importanti se si pensa alle pressioni costanti cui i ragazzi sono esposti dai mass-media e dalla società. E' evidente quindi l'urgenza di attrezzarli di capacità critiche e selettive, e sviluppare l'abitudine verso una osservazione meditata e riflessa. La realtà concreta e "manuale" del teatro restituisce un contatto reale con luoghi, persone e cose, che oggi è molto facile da perdere e questo complesso gioco può portare i ragazzi a riflettere il mondo che li circonda facendone sempre più degli individui consapevoli. E’ evidente che l’ attività di animazione teatrale per le competenze richieste non può essere delegata all'insegnante e che per poter svolgere un ruolo di supporto e rinnovamento e non essere confinato nel quadro di esperienza saltuaria, l’attività dovrà svolgersi in concerto fra insegnante ed esperto di didattica teatrale. Fra l’altro, cosa importantissima, l'animatore, in rapporto all'insegnante, può stabilire con i ragazzi un modello di comunicazione maggiormente simmetrico, cioè più paritario, sfruttando le sue conoscenze e non la sua autorità per stabilire il rapporto allievo-maestro ed essendo libero di mostrarsi totalmente senza mettere a rischio il ruolo (anche se questo punto, se pur reale, è in realtà molto relativo!). Questa diversità faciliterà in molti casi il libero esprimersi del ragazzo. Le stesse attività possono essere rivolte agli insegnanti e proposte loro come percorso personale di crescita, ancor prima che come acquisizione di tecniche da applicare con i bambini. Anche l’adulto, anzi, soprattutto l’adulto, deve indirizzarsi verso un recupero della propria creatività, liberandosi da inibizioni, sovrastrutture e stereotipi onde essere in grado di rapportarsi e comunicare con i ragazzi in modo più autentico. Per chiedere al bambino o al ragazzo di spogliarsi delle proprie resistenze e recuperare la spontaneità, bisogna essere in grado di farlo per primi, occorre allora mettere l’insegnante nella condizione di poter comunicare il suo interesse e la sua fiducia nelle capacità espressive del ragazzo e mostrandosi lui per primo e questo non è pensabile in tempi brevi. Ma anche se nessun reale cambiamento può verificarsi in questo senso nell’ambito di poche ore destinate all’aggiornamento - come del resto accade per gli stessi bambini se limitiamo l’attività ad un mese o a un anno solamente – è comunque auspicabile che l’insegnante approcci direttamente le tecniche che i bambini andranno a sperimentare. In ogni caso, anche se il percorso portasse frutti, può veramente l’insegnante sostituire l’animatore? NO, perché il suo linguaggio rischierebbe comunque di essere più ristretto, non essendo comunque il teatro il suo mestiere. No perchè continuerebbe ad essere l’insegnante e non l’animatore, mantenendo inalterate le dinamiche del rapporto e facendo quindi venir meno questo importante aspetto – l’esperto è più vicino e simile al ragazzo, l’esperto rappresenta la scuola che si apre al mondo esterno. C’è infine poi da chiedersi, perché non tutti possano insegnare l’inglese e invece tutti possano cimentarsi nell’insegnare il teatro e se ciò sia giusto nei confronti della disciplina e nei confronti dell’insegnante stesso.

· Creatività e spontaneismo
Creatività non è sinonimo di spontaneismo, il quale può e deve essere solo un passaggio disinibente verso una serie di possibilità strutturate. Occorre cioè dare una "forma concreta" al gioco fantastico, se vogliamo che esso poi possa anche divenire comunicazione, non solamente compiacimento e liberazione personale, e perché il ricordo del "momento positivo" possa rimanere più a lungo nella memoria. E altrettanto dicasi della casualità, metodologia che può permettere di ampliare i propri schemi espressivi, ma solo quando si ordina ciò che casualmente scaturisce.

· Osservazioni sul campo
Già nella scuola elementare si incontrano soggetti fortemente inibiti o che non sanno sfruttare al meglio le loro possibilità psicomotorie o che hanno blocchi a livello creativo. La scuola sembra rimuovere totalmente la dimensione espressiva del corpo, alla cui attenzione sono riservate esclusivamente le poche ore di ginnastica e la ricreazione, alimentando il dualismo mente-corpo. Ciò avviene in quanto in realtà questo dualismo è proprio della nostra società, che va dalla esibizione di modelli estetici mercificati, corpo involucro, alla negazione e repressione del corpo stesso. Sfruttare nel linguaggio teatrale tutta la possibilità espressiva, fisico -gestuale, verbale, mimica, aiuta a riappropriarsi di una unità in cui tutti i fenomeni spirituali trovano la loro incarnazione in una realtà fisica. Un bambino avendo ancora meno sovrastrutture di un adulto, essendo ancora naturalmente disposto all'espressione corporea, come dimostra nel gioco ed altre attività libere, può più facilmente recuperare questa unitarietà. Ad una società sempre più invasa dai mass-media con il loro traffico caotico e incontrollato di stimoli e informazione standardizzate, cerchiamo di contrapporre un modello comunicativo immediato, autentico, interattivo, come può essere il teatro.

· Pari valenza dell'intuizione rispetto alla nozione

Complementarità delle forme artistiche, esperienze con ritmo, musica, colore, arti visuali. Rompere i fragili confini che separano varie arti, lavorare sull’intuito, abbandonare ogni preoccupazione di giudizio, usare in combinazione l’espressività del corpo, le arti visuali, le esperienze sul suono ed il ritmo, legare manualità ed arte, materia e creatività. Questo percorso può ampliare enormemente il panorama individuale e, attraverso una abilità “portante”, permette di aprire nuove prospettive in altri settori. Ciò dovrebbe far riflettere il mondo della scuola. Chiediamoci perché già molto precocemente insorgano blocchi espressivi (non so disegnare suonare o cantare) che ben raramente saranno superati..

· Senza la preoccupazione di un giudizio
Creare una situazione in cui l'insegnante, rinunciando completamene al ruolo autoritario, conservi un ruolo di guida tecnica, di facilitatore del momento espressivo, tenendo presente che l'allievo apprende meglio ciò che sperimenta da solo. Dato che ogni soggetto è più sensibile e ricettivo ad un certo stimolo, è chiaro che in questi momenti integrati, in cui si possono dare sollecitazioni di carattere differente avendo così la possibilità di toccare più corde, permettono di acquisire nuove abilità e fiducia nelle proprie capacità. I risultati ottenuti avranno ricadute positive che vanno molto al di là della disciplina in cui si sono verificati. L'acquisizione di sicurezza nell’esprimersi senza essere giudicato, stimola la creatività generale, rimuove i blocchi, cambia l'ottica di visione di tutte le cose.

· Dalla parte degli spettatori
Passiamo ora a considerare il caso in cui si voglia portare il teatro come spettacolo, in quanto attori e non animatori o trainer o esperti di didattica teatrale, ed avere quindi dei bambini come “spettatori passivi” e vediamo quale tipo di intervento riteniamo più idoneo. Intanto, quando ciò sia possibile, può risultare interessante trasformare la scuola in teatro, anche se questo non esclude l’andare a teatro, proprio come luogo fisico; già queste due possibilità caratterizzano l’evento connotandolo di valenze esperienziali differenti e ambedue interessanti e valide. Comunque sia, il principio ispiratore dei nostri spettacoli o performances per bambini, rimane quello di privilegiare al massimo il ruolo dello spettatore, già di per sé ben più centrale nel teatro rispetto ad altre forme di comunicazione artistica. Decade quindi di fatto, almeno in parte, l’idea della passività dello spettatore. La storia che si andrà a rappresentare, dovrà quindi contenere dei momenti in cui il pubblico possa entrare fisicamente e a parole nell’azione, eventualmente anche modificandola in parte. Il numero di spettatori dovrà essere limitato, affinché sia possibile un vero coinvolgimento. Un’altra possibilità è quella di costruire percorsi visivi, olfattivi, tattili, dare vita a suggestioni e immagini oniriche o realistiche e rimanere aperti all’interazione, questa volta non necessaria, ma lasciata alla curiosità del bambino. Il pubblico sarà fisicamente dentro la scena (se possibile individualmente) e sceglierà se interagire o guardare.

· Breve compendio su posizioni teoriche ed esperienze legate al teatro nella scuola media inferiore e superiore


Il laboratorio
Animazione. In ogni individuo esistono capacità espressive e creative. Per alcune arti, è necessario farle emergere mediante "sovrapposizione di nozioni tecniche” (“suono il violino dopo aver appreso a produrre suono con quello strumento”), ma ciò non vale per la comunicazione teatrale, poiché l’espressività del corpo e della voce appartengono alla comunicazione umana. Il lavoro dovrà quindi spostarsi sull'individuo in quanto tale e sulla conoscenza di sé, al fine di far riemergere le capacità espressive innate, dare fiducia nei mezzi espressivi e, all'interno della dimensione collettiva e valorizzare la dimensione individuale. Tanto più la dinamica del gruppo è positiva, tanto più il singolo individuo sarà facilitato e potrà compensare situazioni repressive ed uniformanti che possono essere vissute all'interno del gruppo sociale. E' necessario che gli allievi, progressivamente, prendano coscienza della possibilità di produrre cultura e non solamente di plasmarsi all'interno di contenitori culturali.
Il training attoriale e le tecniche di drammatizzazione forniscono all'individuo strumenti di crescita personale, tanto più importanti se si pensa alle pressioni costanti cui siamo esposti dai mass-media e dalla società. E' evidente, quindi, l'urgenza di attrezzare gli allievi di capacità critiche e selettive e sviluppare l'abitudine verso un'osservazione infine meditata. La realtà concreta e "manuale" del teatro restituisce un contatto reale con luoghi, persone e cose, che oggi è molto facile da perdere; questo complesso gioco può portare i fruitori a riflettere il mondo che li circonda facendone sempre più degli individui consapevoli.
Il rapporto tra Creatività e Spontaneismo. Creatività non è sinonimo di Spontaneismo. Quest'ultimo può e deve essere solo un passaggio disinibente verso una serie di possibilità strutturate. Occorre dare una "forma concreta" al gioco fantastico, se vogliamo che esso possa divenire comunicazione, non solamente compiacimento e liberazione personale e perché, il ricordo del "momento positivo" possa rimanere più a lungo nella memoria.
La casualità. La Casualità come metodologia che può permettere di ampliare i propri schemi espressivi, ma solo quando si ordina ciò che casualmente scaturisce.
Il non giudizio. Creare una situazione in cui l'insegnante, rinunciando completamene al ruolo autoritario, conservi un ruolo di guida tecnica, di facilitatore del momento espressivo, tenendo presente che l'allievo apprende meglio ciò che sperimenta da solo. L'acquisizione di sicurezza nell’esprimersi senza essere giudicato, stimola la creatività generale, rimuove i blocchi, cambia l'ottica di visione di tutte le cose.
Il teatro nella scuola deve anzitutto essere pensato come ad un progetto di attività articolato in tutto il periodo di formazione; come ad una pratica che permette di sviluppare creatività, senso critico, socialità, che permette di ampliare e modificare il proprio orizzonte; come ad un’attività che, prima ancora che dalla rappresentazione, passi da un'esperienza verbale, corporea, gestuale e creativa, dove ogni sperimentazione espressiva e comunicativa sia possibile. Questo non esclude, ma solo supporta l’esperienza artistica, quindi nello specifico la realizzazione di uno spettacolo teatrale, che sicuramente può incidere positivamente sulla formazione del bambino.
 “Quale teatro a scuola?” Ogni età scolare esprime un livello di maturità particolare, che con le dovute eccezioni e le possibili espansioni, indica da sé i metodi percorribili e i modelli performativi da applicare. La scuola dell'Infanzia necessita di un approccio vocale e corporeo che vada verso forme ludiche molto coinvolgenti, meglio se ben guidate da operatori-attori in grado di creare una dimensione di performance anche durante i laboratori, utilizzando al massimo la drammatizzazione simultanea e l'interazione. Il corpo, il movimento, il ritmo, l'azione di gruppo, sono le dimensioni espressive più efficaci.
La scuola primaria di primo grado (elementare), pur rimamendo il lavoro incentrato sulla dimensione laboratoriale corporeo-gestuale-vocale, permette di addentrarsi nella partitura verbale, sciegliendo in ambiti narrativi idonei. La scuola primaria di secondo grado (media), dove sempre più diviene importante il valore del laboratorio sperimentale, in cui l'aspetto ludico venga trattenuto ed utilizzato per sciogliere quei blocchi e quelle barriere che nell'adolescenza formano le concrezioni più ruvide, permette di addentrarsi nel teatro propriamente detto, rispettando però la spontaneità e la maturità e ricorrendo preferibilmente al grottesco, al comico, all'essenziale oltre che alla fisicità. La  scuola media superiore, si presta ad approfondimenti: il laboratorio rimane ricerca di sé, crescita individuale e di relazione, mezzo per sciogliere tensioni e resistenze psicofisiche, ma deve percorrere altresì gli aspetti tecnici, deve salire di livello, deve fornire elementi di espressione precisi. Così si creano le basi per un utilizzo completo della forma teatrale e i testi da rappresentare potranno essere i più disparati. La possibilità, dato il livello di maturità dei giovani, di spaziare nei diversi ambiti della drammaturgia, non dovrà però trarre in inganno perchè i livelli tecnici che si potranno raggiungere difficilmente saranno adatti a sostenere certe opere più impegnative. Converrà ancora una volta tenere conto di esigenze e inclinazioni - come per esempio la voglia di comunicare il proprio disagio, la curiosità verso nuovi linguaggi, il bisogno di rovesciare schemi - e ottimizzare andando verso linguaggi più sperimentali e contaminati nella forma, percorrendo quindi, a livello stilistico, non necessariamente testuale, la dimensione del teatro di ricerca e contemporaneo.